Domenica 20 settembre i greci saranno chiamati nuovamente alle urne per scegliere i propri rappresentanti al Parlamento. L’esperienza di Syriza si è conclusa, di fatto, con l’accettazione delle condizioni imposte dai creditori internazionali (Unione Europea, Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale), e con la rinuncia al programma iniziale della coalizione. Da Syriza si sono quindi staccati alcuni esponenti che hanno dato vita ad Unità Popolare, che ha al centro del proprio programma il ritorno alla dracma.
Alcuni parlano dell’esperienza di Syriza come di una tragedia, in realtà si è trattato di una farsa, che solo l’accettazione acritica dei principi democratici ha impedito a molti di comprendere.
La tragedia è quella del popolo greco, delle classi sfruttate, che vedono di giorno in giorno peggiorare la propria situazione: dalla disoccupazione, alla miseria, alla malattia e alla morte. Questa è la crisi reale che vivono milioni di cittadini in Grecia ed anticipa quello che accadrà nei vari paesi dell’Unione Europea; l’altra crisi di cui si parla, la crisi del debito, è una crisi costruita ad arte per giustificare le scelte delle classi dirigenti e dei governanti.
La crisi del debito non esiste.
I creditori non hanno alcun interesse a rientrare in possesso delle somme prestate ai governi, in parte perché possono usare i titoli di credito, i buoni del tesoro, come capitale, in parte perché da questi crediti i creditori traggono rendite colossali sotto forma di interesse. Qualsiasi riduzione del debito pubblico, da parte di qualsiasi Stato, trova la principale opposizione nell’aristocrazia finanziaria, che vede in tale riduzione un attentato al suo reddito e al suo controllo sulle politiche dei governi.
La complessità dello Stato moderno, con il suo gigantesco apparato di riscossione delle imposte e l’immensa spesa pubblica, provoca un disagio finanziario permanente. Il disagio finanziario rende ogni governo, dal più reazionario al più progressista, schiavo dell’aristocrazia finanziaria, e la sottomissione dei governi all’aristocrazia finanziaria aggrava il disagio finanziario della pubblica amministrazione.
Il disavanzo dello Stato è il mezzo attraverso cui i Governi realizzano i propri programmi e arricchiscono le classi privilegiate, è il vero oggetto della politica parlamentare. Ogni riforma, ogni grande opera sono occasioni per nuovi prestiti, ogni prestito è l’occasione per un nuovo arricchimento dell’aristocrazia finanziaria, per svaligiare il pubblico erario. Questo è vero per le metropoli imperialistiche come gli Stati Uniti, ed è vero per gli ultimi satelliti dell’impero come la Grecia.
Si fa un gran parlare della verifica del debito; Syriza aveva addirittura messo nel proprio programma elettorale la cancellazione della maggior parte del debito pubblico greco e altre misure di riduzione del debito. La questione non è verificare se il debito è più o meno illegittimo, quanto avere gli strumenti per imporre tale riconoscimento. Nel 1918 la Russia sovietica si rifiutò di riconoscere il debito dell’impero zarista; precedentemente il governo repubblicano del Messico si rifiutò di riconoscere il debito dell’impero retto da Massimiliano d’Asburgo e sostenuto dalle truppe francesi; la storia del diritto internazionale vede altri esempi di cancellazione totale o parziale del debito, ma sempre a conclusioni di rivoluzioni o di guerre, e sempre da parte dei vincitori nei confronti degli sconfitti; la definizione giuridica è sempre avvenuta a posteriori, come legittimazione dell’atto di forza compiuto.
Se si segue la strada elettorale, la strada del compromesso con le istituzioni e con le potenze straniere, una volta arrivati al governo non si potrà fare a meno di cercare il consenso di quelle istituzioni che si diceva di combattere. Per sopravvivere il nuovo governo deve cercare innanzi tutto di assicurare il rispetto degli impegni presi dai governi precedenti; in tal modo si mette subito nelle mani dell’aristocrazia finanziaria; ma, accanto all’aristocrazia finanziaria, altre frazioni della classe dominante vivono del debito pubblico: i circoli militari, la burocrazia statale, le istituzioni religiose, la stessa borghesia industriale. Combattere il debito pubblico, sia rifiutandosi di riconoscere quello fatto, sia rifiutandosi di farne ancora, priverebbe ogni governo dell’appoggio delle classi privilegiate, e lo costringerebbe a cercare la propria salvezza nei ceti popolari, scelta che nessun governo potrebbe fare, senza suicidarsi.
Produttori reali e partito dei produttori
Uno degli equivoci su cui si basa la campagna contro il debito è la contrapposizione tra economia finanziaria ed economia reale. Questo equivoco si basa su due momenti del capitale, il capitale come massa di denaro e il capitale come merci- prodotti o come mezzi di produzione. In realtà il capitale non è una cosa, o una massa di cose, ma è un rapporto sociale e in quanto tale vive del flusso, da capitale monetario a capitale come fattori della produzione, al capitale come merci, per ritornare poi, accresciuto, nella forma di capitale monetario. Già la forma originaria del denaro, nelle sue figure come capitale e come mezzo di pagamento, è implicito il ruolo della finanza; con l’affermarsi del modo di produzione capitalistico, i diversi capitali sono spinti verso la concentrazione e la centralizzazione, i mezzi di produzione si fanno più giganteschi, così come la voracità di materie prime e di forza lavoro, un processo che non potrebbe compiersi senza la crescente trasformazione di ogni somma di denaro in capitale, processo a cui si dedica il sistema finanziario e la politica industriale dello Stato.
Il debito pubblico che assilla, più o meno, tutti gli Stati moderni, non è certo provocato dalle pensioni, dalla sanità, dalla scuola, dall’assistenza, a cui comunque spettano le briciole: sono le spese militari, i contributi alle chiese, le grandi opere e il sostegno alle industrie nazionali a scavare voragini del pubblico erario. Al di là di un certo limite, la corda che l’aristocrazia finanziaria mette al collo dei governi si stringe da sola, a quel punto sono gli interessi sul debito la principale causa dell’espansione del debito pubblico.
Tutta la ricchezza di cui si appropriano, attraverso i capitalisti, le classi privilegiate è prodotta dal lavoro umano applicato alle condizioni della produzione e agli elementi naturali, dalle immense falangi degli operai e dei contadini. Il monopolio dei mezzi di produzione, di scambio e di sussistenza nelle mani di pochi privilegiati è la condizione indispensabile dello sfruttamento a cui sono sottoposti i produttori reali; a sua volta, questo sfruttamento è la causa della miseria materiale e morale in cui vive l’immensa maggioranza della popolazione mondiale. Conservare questo stato di cose è il primo compito di ogni governo: i governi hanno polizie, magistrature, eserciti creati appositamente per difendere i loro privilegi; e perseguitano, incarcerano, massacrano coloro che vogliono abolire quei privilegi e reclamano i mezzi di vita e la libertà per tutti.
Chi chiede il voto per andare a contrattare il debito mente sapendo di mentire; chiunque vinca le prossime elezioni politiche in Grecia non potrà che chinare la testa di fronte ai diktat delle istituzioni internazionali. Commissioni e petizioni sono utili a livello di opinione, ma per rompere la gabbia del debito ci vuole l’insurrezione vittoriosa. L’abolizione dello stato non è quindi una questione accademica, da rinviare ad un lontano futuro quando le menti umane saranno preparate, ma la premessa indispensabile di ogni strategia di sopravvivenza immediata.
Tiziano Antonelli